In the last 25 years the fashion industry has multiplied the marketing dedicated to sustainability; but it has remained with the same environmental impact.
Shirts and shoes have doubled production, halving the real price thanks to non-biodegradable materials coming from oil, to be at the end of use or burned or accumulated in landfills for 75% of the total.
Brands generally neglect the social and environmental impact of their supply chains, which, if operating in Europe or the USA, decentralize in ways that are anything but transparent. Both sides then label the article with a liar 'made in', to exploit the appeal of the corporate brand or the country in which they reside, from France to Italy, from the United States to Spain.
The real concern is to go out on the market with fast, cheap novelties, regardless of concrete and verifiable ecological requirements. A gigantic overproduction ensues, stocks are piled up to the point that 40% have to be sold at discounts. The rest is destroyed either by fire or other unspoken method.
Zara launches 24 collections a year, H&M runs from 12 to 16 with weekly updates. Now e-commerce is the new protagonist. Shein is the first online store: tops for $ 7, dresses for $ 12, jeans for $ 17. Luxury obviously uses different time techniques, despite having a constant problem of surpluses, usually solved with incineration. See the controversy 3 years ago against Burberry.
Polyester has become the main synthetic fiber, it requires a lot of energy for the extraction of fossil fuel and for its transformation.
Pledges of sustainability are wasted, purely self-referential, even comic like 'circularity' and 'zero km'. A Neapolitan tanner from Terra dei Fuochi, who finishes skins or hides tanned abroad and uses imported chemicals, boasts his 'circular' cycle and of the sector represented, in turn buying its own raw materials already processed outside the country.
Recycling is another must, in reality only 1% of clothing is recycled into clothes, most of the donations go to poor countries.
Bio-based and biodegradable materials to replace animal and synthetic ones have high costs and investments; while used and rented (Rent the Runway) give reduced sustainability and appear unprofitable.
For another 10 years, fashion will substantially grow with the same impact and with the unchanged ability to lobby, that is, to influence legislators and certification bodies. The advertising, hidden behind pre-packaged surveys, relating to the alleged but non-existent willingness of consumers to pay a premium for the sustainable garment will leave the time it finds. (hbr.org/ Jan 13, 2022 / Kenneth P. Pucker)
|
Gospelstudy.us |
|
Plan A |
|
Firstpost |
|
Peakpx
|
Moda, sirena insostenibile
Negli ultimi 25 anni l'industria della moda ha moltiplicato il marketing dedicato alla sostenibilità; ma è rimasta all'identico impatto ambientale.
Camicie e scarpe hanno raddoppiato la produzione, dimezzando il prezzo reale grazie ai materiali non biodegradabili provenienti dal petrolio, per essere a fine uso o bruciate o accumulate in discarica al 75% del totale.
I brand generalmente trascurano l'incidenza sociale ed ambientale delle loro catene di rifornimento, le quali, se operanti in Europa o USA, decentrano con modalità tutt'altro che trasparenti. Entrambi gli schieramenti etichettano poi l'articolo con un 'made in' bugiardo, per sfruttare l'appeal del marchio aziendale o del Paese in cui risiedono, dalla Francia all'Italia, dagli Stati Uniti alla Spagna.
La vera preoccupazione è uscire sul mercato con novità veloci, economiche, a prescindere dai requisiti ecologici concreti e verificabili. Ne consegue una gigantesca sovrapproduzione, le scorte si ammassano al punto tale da dover essere vendute per il 40% con sconti. Il resto viene distrutto o con il fuoco o altro taciuto metodo.
Zara lancia 24 collezioni anno, H&M va dalle 12 alle 16 con aggiornamenti settimanali. Adesso l'e-commerce è il nuovo protagonista. Shein risulta il primo punto vendita web: top a $7, vestiti a $12, jeans a $17. Il lusso utilizza ovviamente tecniche temporali diverse, pur avendo costante il problema dei surplus, risolto solitamente con l'incenerimento. Vedi le polemiche 3 anni fa contro Burberry.
Il poliestere è divenuto la principale fibra sintetica, richiede molta energia per l'estrazione del combustibile fossile e per la trasformazione.
Gli attestati di sostenibilità si sprecano, meramente autoreferenziali, persino comici come la 'circolarità' o il 'km zero'. Un conciatore della Terra dei Fuochi napoletana, che rifinisce pelli importate già conciate e usa sostanze chimiche estere, vanta la 'circolarità' della sua azienda e del settore rappresentato, seppur compratore delle materie prime già lavorate fuori dai confini nazionali.§
Il riciclo è un altro must, in realtà solo l'1% degli indumenti viene riciclato in abiti, la gran parte delle donazioni va ai Paesi poveri.
I materiali a base biologica e biodegradabili per sostituire quelli animali e sintetici hanno costi e investimenti elevati; mentre usato e noleggio (Rent the Runway) danno ridotta sostenibilità e appaiono poco redditizi.
Per altri 10 anni la moda crescerà sostanzialmente con il medesimo impatto e con la capacità inalterata di lobby, cioè di influenza, su legislatori ed enti di certificazione. La comunicazione, nascosta dietro sondaggi pre-confezionati, relativa alla presunta ma inesistente volontà dei consumatori di pagare in sovrapprezzo il capo sostenibile lascerà il tempo che trova. (hbr.org/ Jan 13, 2022/ Kenneth P. Pucker)
Comments
Post a Comment