Salario indipendente?

Fu l'autunno caldo del '69,in parte maturato all'interno  ma soprattutto importato ,a provocare la mia intenzione di entrare nelle associazioni imprenditoriali. Furono gli studenti della mia università pavese,intruppati in slogan su realtà a loro sconosciute, a convincermi che dovevo restare libero.
Aumenti uguali per tutti,paga slegata da produttività e redditività,cottimo demonizzato,proletariato contro l'accumulazione capitalista etc. si leggevano e si sentivano ogni giorno.
Il decennio del 1970 visse sul "salario variabile indipendente". Fu inculcato con violenza,dagli spari nelle gambe ai sequestri di dirigenti. A noi negoziatori,insultati dentro e fuori le fabbriche,quali "servi del padrone",restò ben poco da negare,persino da abbozzare.Accettavamo e basta, vinceva la "classe operaia". Almeno,almeno 20 anni trascorsero in quel clima,forgiando così le nuove generazioni,da cui emersero insegnanti,giornalisti,magistrati.
Eppure la trasparenza del mercato aperto è palese:c'è una prestazione e c'è un compenso ad essa proporzionato.La connessione fra le due grandezze è un dato di fatto.
Fummo condizionati noi e coloro che seguirono;perciò il linguaggio è rimasto prudente e sfumato.Troppo crudo era ed è dire che il lavoratore deve prendere per quel che fa. Il principio della variabile indipendente aleggia ancora,tanto che la fresca affermazione del presidente di Confindustria "il salario deve corrispondere alla produttività" assume un sapore di novità,di rottura con il passato. Viene percepita come una rivendicazione,peraltro in ritardo di 50 anni,nonostante sia scontata ed ovvia in qualunque libero mercato del mondo.
L'industria privata nazionale con le sue rappresentanze ne è ancora influenzata.In America frattanto introducono  l'arbitrato per le liti di lavoro,sfuggendo alle class action e alle corti giudiziarie. Qui,svuotatosi solo formalmente il consociativismo, il conflitto interno all'azienda,più o meno insanabile,va al  giudice del lavoro, poco sensibile  allo scambio pattuito tra impresa e dipendente.


The Italian"hot autumn"of 1969 pushed me to join the employers' associations. At my Pavia university the students chanting slogans against the market capitalism without any knowledge of it induced me to remain free and far from their attacks to the enterpreneurs. They claimed:the wages have to be separated from the productivity. To win they shot mangers and other opposing people. We negotiated  with trade unions on behalf of the enterpreneur and so we were nicknamed"servant".They won and step by step many Italians,like journalists,teachers,judges, have been believing the wages are not linked to the trend of the markets. Still now most Italian enterpreneurs are afraid to  loudly claim that "workers must be paid in proportion to their productivity". It was just asserted by the new Confindustria president and it seemed slightly provocative. Meanwhile American companies are introducing the arbitration in the labour conflicts and Italians are fully bound to the external judges.

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